Per riscrivere un classico serve talento, per riscrivere il Faust il talento non basta: ci vuole coraggio. Talento e coraggio che, a leggere il suo ultimo libro, sembrano non mancare a Paolo Scardanelli, da pochi mesi in libreria con In principio era il dolore. Un Faust di meno (Carbonio Editore, 2022).
A due anni di distanza dall’esordio narrativo con L’accordo. Era l’estate del 1979 (edito sempre per i tipi di Carbonio editore), lo scrittore siciliano torna infatti a far parlare di sé con un romanzo eccentrico e radicale, una riscrittura (post)moderna dell’opera che forse più di ogni altra ha fissato l’essenza intima della natura umana, il suo essere portatrice insana di incompletezza e imperfezione.
Si comincia con un patto, di sangue ovviamente, stretto nella Milano del 2020 (e della pandemia, dunque) tra un uomo e il diavolo, subito dopo un concerto rock. L’uomo è Fabio Pugno, scrittore rinomato e inquieto, insoddisfatto della “banalità del bene” in cui si trascina la propria quotidianità e desideroso di conoscere la Verità; il diavolo è un amante del rock di nome Marilyn (…), essere mostruoso e grottesco, presentato ora secondo l’iconografia tradizionale – un caprone che soffia zolfo e cenere dalle narici – ora con i tratti più umanizzati di saltimbanco che fuma erba mentre guida.
Il patto – l’accordo – tra i due ha come prima diretta conseguenza l’omicidio di otto ricercatori dell’Università Statale, dove la moglie di Fabio, Loredana Robecchi (Robecchi, già, come uno dei più noti giallisti contemporanei), è docente di Estetica. Gli otto corpi vengono rinvenuti nel cortile della Facoltà, brutalmente smembrati e disposti a formare la rosa dei venti; Loredana, nuda, in stato confusionale e con le mani e la bocca imbrattate di sangue, è accanto a loro. Le indagini sono affidate al commissario Belletti, che se da una parte si inserisce tra le fila dei commissari sui generis a cui ci ha abituato tanta letteratura, dall’altra, nella sua geniale tensione all’irrazionale, rappresenta una novità, e segue il lettore nel progressivo abbandono di ogni certezza.
Bastano questi ingredienti a svelare come, in seno alla riscrittura di un classico, l’autore abbia costruito un giallo dalle ambientazioni noir, in cui l’indagine da poliziesca si fa etica. Ma non solo. In una dimensione in cui la ragione è votata allo scacco sin dall’inizio, sin dalla descrizione orrorifica della scena del delitto, è solo l’arte a poter parlare del mondo, a dar forma alle cose, a scavare oltre la materia e lo spirito per cogliere il concetto puro dell’esistere.
«Mentre metto su carta questi pensieri m’accorgo che il mestiere di scrittore mi si è sempre in qualche misura attagliato; quella necessità di andare oltre le apparenze, d’indagare nell’intimo cose e persone, tutto questo mi consente di avere chiara percezione (chiara, parolone grosso) delle cose. E del loro peso. […] oggi sono nelle profondità del mare a rimirare le stelle come mai in vita, quando mi stendevo al sole sulle spiagge del nostro scontento, là dove la nera pietra resta, sopportando le bordate più terribili, perché è quello il suo destino, di restare, così come il nostro scomparire».
Ogni campo del sapere, dall’arte, alla letteratura, alla filosofia, confluisce nella narrazione, si fa scrittura lirica e barocca: debordante.
Scardanelli osa, cita, straripa. Non sono un caso, infatti, i continui riferimenti a Carlo Emilio Gadda, che delle parole ha fatto uno strumento di rottura e che proprio alla “cognizione del dolore” di cui soffre Fabio Pugno ha dedicato uno dei suoi libri più belli. Scardanelli è frattura e riscrittura, inquieta ricerca di qualcosa che colmi l’anima fino a scoppiare:
“[…] l’uomo, la donna, il genere umano ha sempre scelto e sempre sceglierà l’ombra, mio caro; è la sua naturale pulsione, predisposizione quasi direi. E io là lo attendo: a braccia aperte.
Sopra i campi d’oro,
inondati dal sole d’agosto.
“Non siete capaci di bastare a voi stessi e bramate, assetati, quello che non avete: denaro, donne, successo, potere; per i più raffinati e di palato buono, come te, mio Pugno, elevazione, verità, assoluto, eternità!”.
Non è semplice accostarsi ai suoi libri, a questo in particolare. Non lo è per il tono ora lirico ora dissacrante e scurrile con cui è raccontata la vicenda, per il ritmo convulso e onirico della narrazione, per il monologare esaltato dei personaggi. Non lo è, ma è proprio per questo che vale la pena farlo.
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