Lo spettacolo di Marco Falaguasta, esibitosi al Teatro “Garibaldi” di Avola in “Non ci facciamo riconoscere”, è uno spaccato dell’ultimo secolo d’Italia a cavallo di quattro generazioni e sull’onda delle loro emozioni. Sul palco, lui, il mattatore, l’ironia è arguta, la mimica vivace e briosa, in ossequio a un teatro di buona prosa. Sullo sfondo corrono certe immagini, la loro eloquenza, che del monologo rafforzano la coerenza. E c’è anche una voce fuori campo che a Marco a volte non sembra lasciare scampo come quella del commesso che con la musica a tutto volume sbraita sulle misure e sul prezzo.
Sul palco risuona “Non ci facciamo riconoscere”, quel richiamo all’ordine dei genitori di una volta a chi oggi, come Marco Falaguasta, ha cinquant’anni e il senso di quell’accezione non l’ha ancora risolta. Una generazione che ha barattato la verità col quieto vivere, a cui conviene stare dalla parte dei buoni, e che degli altri, spesso, non capisce le ragioni.
Erano gli anni ’70, ’80 e ’90, la protesta contro il capitalismo e il consumismo da una parte all’altra lo Stivale infiamma. La ricchezza era concentrata nelle mani dei grandi proprietari, gli operai, sfruttati, reclamano salari più adeguati. Marco aveva 8 anni: «Nonno, chi ha ragione? Sui buoni e i cattivi, dammi le giuste informazioni». E il nonno, che era un tassista, ma non qualunquista: «Marco, devi farti la tua opinione, calcola soldi e sudore delle ore con molta attenzione». Mia nonna era una raccoglitrice seriale, la sua frittata conteneva di tutto, salmone, carne, patata, roba che in vita non si era mai incontrata. E mentre la nonna con lo schiacciapatate spappolava anche arance, così che a prendere il tubero a bocconi si infilassero i semi, che spuntoni, i genitori di Marco avevano lo spremiagrumi elettrico, che allora sembrava già eccentrico. Adesso c’è l’estrattore di frutta a freddo, e se non va al bagno – gli ha detto il commesso di Trony – le fibre sono un gran guadagno. Erano gli anni ’70, ’80, e ’90, fu introdotta la legge sul divorzio per i matrimoni finiti in cocci. Non si profana il santuario della famiglia, imprecò la Chiesa, e successe un parapiglia.
I radicali assai bene lo videro, erano radicali liberi, e Andreotti puntò tutto sull’elevato profitto, se costoro pronunceranno un altro sì, ristoranti, fiorai, locali, lavoreranno qui e lì. Ma l’amore no, non può dissolversi nel vento, cantò la Chiesa, Maria Santissima, stia tranquilla, con la sacra rota, la ruota di scorta, è previsto un lauto compenso. “Non ci facciamo riconoscere” di e con Marco Falaguasta - attore, commediografo e regista romano - è stato inserito nel cartellone di eventi dalla direttrice artistica del “Garibaldi”, Tatiana Alescio, in collaborazione con il comitato di gestione del teatro e con il patrocinio dell’amministrazione comunale - il sindaco, Rossana Cannata e l’assessore alle Politiche culturali, Corrada Di Rosa -. La generazione dei cinquantenni non si fa riconoscere ancora, ma la conoscenza è l’unica droga che crea indipendenza.
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