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Jinnistan. Fiabe: oltre l’inganno della realtà

2021-05-20 16:16

Lara Dipietro

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Jinnistan. Fiabe: oltre l’inganno della realtà

«Gentili lettrici e lettori,perché vergognarsi di ammettere che amiamo le storie di geni e fate? La passione per queste storie è così diffusa che sono

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«Gentili lettrici e lettori,

perché vergognarsi di ammettere che amiamo le storie di geni e fate? La passione per queste storie è così diffusa che sono davvero pochi coloro che non le apprezzano, pochi come coloro che al profumo di una rosa reagiscono perdendo i sensi o coloro che ascoltando il suono di una cornamusa se la fanno addosso».

 

Nel 1786 lo scrittore Christoph Martin Wieland presentava così il primo volume di Dschinnistan. Oder auserlesene Feen- und Geistermärchen, una raccolta di fiabe in lingua tedesca da lui curata per l’editore Steiner, a cui si aggiungevano altri due volumi nel 1787 e nel 1789, per un totale di diciannove narrazioni.

Di quest’opera, vasta e ricchissima, lo scorso ottobre 2020 la casa editrice Mimesis ha pubblicato per la prima volta la versione integrale in italiano, con il titolo di Jinnistan. Fiabe, tradotta da Renata Gambino e accompagnata da una minuziosa Postilla mozartiana di Grazia Pulvirenti.

Jinnistan, come si legge nella prefazione della traduttrice, è il regno fiabesco dei geni, creature mortali che secondo la tradizione islamica erano fatte di fuoco, capaci di assumere sembianze umane e di vivere sulla terra insieme agli uomini. Tuttavia, al di là del titolo e dall’ambientazione orientale di diversi racconti, è nel contesto storico a cui appartiene Wieland che va cercata l’essenza della raccolta. La Germania di fine Settecento, infatti, è un crogiolo di delusioni riformiste e utopiche speranze nel futuro; un momento in cui la fiaba, lungi da essere solo una forma di intrattenimento, può denunciare storture sociali e politiche, trasmettere nuovi valori alle generazioni future, esplorare gli anfratti dell’animo umano.

 

Letta con tale consapevolezza, Jinnistan si arricchisce di immagini sibilline e sfumature di senso: infatti, che sia ambientata nell’Oriente favoloso, in un castello medievale o in un giardino incantato, ogni sua storia presenta un enigma da risolvere, quasi sempre legato all’incapacità dei protagonisti ‒ ma anche di noi lettori ‒ di guardare oltre le apparenze.

Uomini e donne trasformati in animali (Nadir e Nadine; La pietra filosofale, o Silvestro e Rosina) o in oggetti (Neangir e i fratelli, Argentine e le sorelle); giovani mutati in vecchi (Adis e Dahy; Alboflede; Lulu, o il flauto magico); regnanti divenuti pastorelli (Il ramo d’oro); donne travestite da uomini (Il duello; Il cesto, un racconto orientale): a colpi di incantesimi e maledizioni, in queste fiabe la forma muta di continuo, seppure i pensieri restino umani. Nulla di strano, quindi, se il giovane figlio di un sacerdote si innamori di una statua (Il Druido, o la Salamandra e la statua) e una fanciulla di una farfalla (Timandro e Melissa) o di una volpe (Pertharit e Ferrandine).  

 

L’amore, del resto, l’altro grande tema della raccolta, è legato alla rappresentazione fittizia della realtà, non solo perché può nascere tra chiunque, ma anche perché costituisce il premio finale per eroi ed eroine alle prese con gli inganni delle apparenze. Ottenerlo richiede coraggio e crescita interiore, ovvero il superamento di una prova che Grazia Pulvirenti ha definito «rito di passaggio alla maturità», ma anche «esperienza che arricchisce il sentimento di amore provato dai giovani». Per questo, a Jinnistan, l’amore appare tanto stratificato quanto lo è la realtà; per questo se crescere vuol dire squarciare i veli dell’illusione, saper amare significa continuare a farlo anche senza filtri.

Letteralmente senza filtri. Fiaba dopo fiaba, infatti, si ha l’impressione che qualcosa cambi: così, mentre al protagonista della terza, Neangir e i fratelli, Argentine e le sorelle erano bastate un’immagine e una pozione magica per innamorarsi di una donna e rinforzare il legame con lei; a quello della penultima, la bellissima Il palazzo della verità, tutto ciò non può più bastare, e per fidarsi di chi ama ha bisogno di un luogo in cui nessuno può mentire… In mezzo ci sono state altre quattordici storie, con il loro carico di metamorfosi, camuffamenti e illusioni. Giunti a questo punto, allora, tra le mura di un palazzo che ‒ ammettiamolo ‒ farebbe gola a chiunque, si tira come un respiro di sollievo: finalmente la magia è al servizio della verità, finalmente si può guardare all’altro per ciò che è davvero. Ma è qui che viene il bello:

 

«Siate onesto con voi stesso! Siete nobile e caro ma, fin quando manterrete viva questa sfiducia offensiva e questa curiosità morbosa, non conoscerete né pace né felicità. Quanto vi è già costato questo folle desiderio di frugare tra le pieghe del cuore di chi vi ama? […] Smettetela di voler distruggere un’illusione che ci è necessaria! Abbandonate questo palazzo infelice, oppure rinunciate per sempre all’amicizia, all’amore, alla compagnia, in breve, a tutti quei sentimenti che rendono la nostra vita felice e bella».

 

Wieland era convinto che la fiaba fosse l’unica forma letteraria capace di svelare l’incomprensibile, di soddisfare la doppia natura dell’uomo: «il suo amore per il vero» e la sua «propensione al meraviglioso». Le fiabe che ha curato, tradotto e talvolta riscritto si collocano nel regno di mezzo, tra il desiderio di guardare oltre e il pericolo di riuscirci davvero. Anche per questo Jinnistan merita di essere esplorato. 

 

Renata Gambino è professoressa associata di Germanistica presso l’Ateneo di Catania. Specialista della Goethezeit e del rapporto tra cultura visuale e testo letterario, negli ultimi anni si è dedicata allo studio del testo letterario come dispositivo immaginale e cognitivo.

Grazia Pulvirenti, professoressa ordinaria di Letteratura tedesca, è direttrice del Centro di ricerca interdipartimentale NewHums – Studi neurocognitivi e umanistici, co-direttrice, insieme a Renata Gambino, del gruppo di ricerca internazionale NeuroHumanities Studies e Presidente della Fondazione Lamberto Puggelli.

 

 

 

©riproduzione riservata

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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