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1894: PASQUA DI SANGUE A MELILLI

2022-05-04 17:11

Redazione

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1894: PASQUA DI SANGUE A MELILLI

Correva l’anno 1894, quando Melilli venne sconvolta da un fatto di sangue che segnò profondamente tutta la comunità

Correva l’anno 1894, quando Melilli venne sconvolta da un fatto di sangue che segnò profondamente tutta la comunità suscitando un’enorme impressione sull’opinione pubblica. Il fatto avvenne il Sabato Santo di quell’anno: due giovani appartenenti all’aristocrazia locale vennero alle mani e per uno di loro il litigio ebbe conseguenze letali. La causa scatenante si era verificata il giorno precedente, Venerdì Santo, quando era usanza che i giovani civili venissero sorteggiati per portare a spalla U Signuri munumentu, il cataletto (l’urna del Cristo morto). Il sorteggio si teneva all’interno della Chiesa del Collegio di Maria Santissima Addolorata, nonostante la cerimonia religiosa si svolgesse in Chiesa Madre.

Qui, alle cinque di pomeriggio, annunciate dagli spari di mortaretti, iniziavano poi le funzioni religiose incentrate sulla rievocazione del dramma del Golgota e A scisa a Cruci (la deposizione di Cristo dalla croce). Subito dopo si cominciava a preparare la processione do Signuri munumentu (del Cristo morto), deposto all’interno del cataletto chiuso da un vetro e rischiarato da fiaccole, e da Bedda Matri Addulurata (della Madonna Addolorata).

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Anticamente, però, non esistendo il coperchio in legno a vetri, il cataletto veniva coperto con pesanti veli lavorati a mano chiamati Cappurri. Per poter apporre questi pesanti veli si usavano lunghe molle che si chiudevano al centro con una palla sormontata da una croce. I Cappurri venivano legati sopra la palla centrale e lateralmente alle molle. I giovani facevano a gara per poter partecipare alla processione, in quanto era anche una buona occasione per mettersi in mostra con le ragazze del paese.

Anche quel Venerdì Santo del 23 marzo 1894, i giovani aristocratici si erano riuniti nella chiesa del Collegio, che si trovava di fronte alla Chiesa Madre, per prepararsi, come da tradizione, alla processione.

Quell’anno, tra gli altri, era toccato ai giovani David, Limoli, Rizzo, Missale, Pandolfini e Cannarella ed altri portare a spalla la bara del Cristo morto; l’Abramo, che si era presentato in abito scuro, camicia e guanti bianchi, non fu inserito fra i portatori, per cui fu costretto a seguire la processione senza esserne coinvolto. Infatti, nessuno dei portatori voleva che lui portasse il cataletto.

L’Abramo, non accettando quella decisione, durante la processione, con alcuni compagni, cercò di importunare i portatori, tanto da costringere il David a riprendere questo gruppetto di giovani che turbava il mesto clima di dolore.

L’alterco fra il quattordicenne Sebastiano David e il ventitreenne Niccolò Abramo (che voleva portare a qualunque costo il cataletto, perché, come affermò il prof. Maiorana nell’arringa finale: «Era ambizioso di comparire nelle feste religiose») si ebbe all’interno della chiesa dello Spirito Santo, dove la processione si era fermata per far riposare i portatori e permettergli di rifocillarsi (era usanza, allora, offrire ai portatori un piccolo pasto e del vino).

Alla pressante richiesta dell’Abramo, il David rispose che non era possibile inserirlo fra i portatori, perché quell’anno era toccato a loro portare il Cristo morto a spalla in processione. Allora l’Abramo, all’ennesima risposta negativa, lo apostrofò “Figghiu di sapunaru” (figlio di saponaro), al che David rispose “Citrullu” (citrullo)

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Sembrava che tutto si fosse appianato quella stessa mattina del Venerdì Santo con un semplice scambio di accusa. Ma così non fu! Infatti nel pomeriggio del Sabato (24 marzo 1894), Sebastiano David, insieme al fratello e altri amici, si recarono nella Chiesa del Collegio per togliere dalla bara del Cristo morto tutti gli ornamenti e restituirli ai fedeli legittimi proprietari. All’appuntamento si presentò anche Niccolò Abramo, che costrinse il David e gli amici a ritirarsi nella stanza del predicatore per evitare di dare seguito alla lite.

Tuttavia, poiché si dovevano comprare dei dolci e questo compito toccò a Sebastiano David, i due si incrociarono ancora una volta davanti alla chiesa, dove stazionava l’Abramo che lo apostrofò “Cchi ci fai ccà figghiu di sapunaru?”; al che David rispose “E cchi ci fai tu ebbreu?”.

Dopo l’ennesimo insulto, i due vennero alle mani e, nella colluttazione che ne seguì, il David caddè a terra. Allora, preso da paura, estrasse di tasca un coltello e ferì a morte l’Abramo. La perizia attestò che l’Abramo aveva subìto una: «Ferita da arma di punta e taglio penetrata profondamente nella cavità toracica e, fermando il cuore, avevano provocato la morte istantanea».

In seguito, il giovanissimo David venne arrestato dal maresciallo Tito Guglielminelli e successivamente rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario. Assieme a lui, venne rinviato a giudizio, anche se non in stato di arresto, il padre Giovanni «Quale civilmente responsabile», poiché il figlio era minorenne. Il processo venne celebrato nei tribunali di Siracusa, Catania e Roma, dove la Corte di Cassazione decise però, di rinviarlo a Lucca per legittima suspicione. Nella città toscana, dunque, a distanza di sedici mesi dal delitto, si celebrò la fase finale del processo, che coinvolse i migliori avvocati del tempo e vide sfilare molti cittadini di Melilli in qualità di testimoni.

Il collegio di difesa era formato da: prof. Angelo Maiorana (giovanissimo Rettore dell’Università di Catania), Arnaldo Gemignani, Pietro Luporini e dal futuro senatore della repubblica Giambattista Rizzo (che assisteva in qualità di esperto del dialetto siciliano, con il quale si esprimevano molti testimoni melillesi). La parte civile era patrocinata dagli avvocati Vincenzo Arcidiacono, Giuseppe Casentini e Ciro Luporini.

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Parallelamente al processo penale, però, venne celebrato un processo politico, che vide contrapposte le fazioni locali appartenenti ai due circoli Crescimanno (l’Abramo) e David – Rizzo (David). Cosicché, in qualità di testimoni sfilarono molti aderenti ai due circoli che si accusavano vicendevolmente e tentavano di mettere in cattiva luce gli avversari politici. Addirittura si volle dare la massima amplificazione possibile con la pubblicazione di un “Bollettino Giudiziario – Processo David”, che seguì tutte le fasi dibattimentali.

Come affermò il testimone Antonino Santostefano: «Il paese è diviso in partiti. Il Circolo Crescimanno è tutto del partito opposto a quello della famiglia David, nessun membro della quale vi è mai appartenuto». E ancora Giuseppe Reale (testimone): «A Melilli vi sono dei partiti accentrati, ardenti che trascendono sovente ad invadere ogni manifestazione della vita». (Bollettino Giudiziario – Processo David, 18 giugno 1895).

Addirittura il sindaco Luigi Alagona fu indicato dal prof. Maiorana “Deus ex machina di tutto il processo”. Lo stesso Maiorana additò la classe politica locale di essere responsabile di quanto accaduto e di voler celebrare un processo politico approfittando di un processo per omicidio: «I fatti e la causa son nati e son cresciuti in ambiente mefitico. I testimoni d’accusa son tutti impiegati municipali o parenti di impiegati municipali, perciò interessati. E dietro tutti costoro, e dietro altri, reduci o aspiranti alle patrie galere c’è l’Alagona, il sindaco. Il potere municipale - continuò Maiorana - per alcuni partiti rappresenta l’albero della cuccagna, per altri, dell’onore e di una benefica influenza. In certi clubs si preparano le elezioni con la violenza e la corruzione; e dopo il periodo elettorale si lavora alla chetichella per conservare il potere e rovinare i capi del partito avverso». (Bollettino giudiziario, cit. 20/6/1895).

Il processo si concluse il 22 giugno 1895 con l’arringa degli avvocati di parte civile e della difesa. Il reato commesso dal David, nonostante si fosse voluto dare un’impronta politica, coinvolse uomini politici locali e testimoni di entrambe le fazioni e venne derubricato ad omicidio preterintenzionale; per cui, all’imputato venne riconosciuta la non volontarietà nell’omicidio di Niccolò Abramo (S. Crescimanno, Biografia di F. Crescimanno).

L’avv. Giambattista Rizzo diede notizia dell’esito del processo alla moglie prima con un telegramma e poi con una lettera, in cui scrisse: «Come avrai appreso dal mio telegramma di ieri si è decisa la causa di Ianuzzo, l’esito è stato uguale al processo del 1873! Dovrebbe, questa lezione, far rinsavire i manipolatori di processi, di infami calunnie fin che viene giù la maschera. Fin dalla querela si fecero infami allusioni. Il risultato deve lasciare rimorso a coloro che trassero occasione di un caso disgraziato per tentare una vendetta» (Testimonianza di S. Nicosia allo scrivente).

L’omicidio dell’Abramo provocò un pesante intervento da parte dell’Autorità ecclesiastica: la chiesa del Collegio di Maria, dove era avvenuto il grave fatto di sangue, fu interdetta al culto per tre anni e riaperta ai fedeli solo alla fine del 1897; il parroco Salvatore Nicosia revocò ai civili la tradizionale consuetudine di portare a spalla la bara del Cristo morto. In seguito a questa revoca furono i mastri muratori a portare a spalla U Signuri munumentu, mentre A Bedda Matri Addulurata (la Madonna Addolorata) venne portata a spalla dai massari (Cfr. P.Magnano, il Collegio di Maria SS. Addolorata di Melilli).

 

 

di Paolo Magnano

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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