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Non dipingerai i miei occhi: arte, amore e morte nella Parigi della bohème

2020-09-01 11:32

Lara Dipietro

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Non dipingerai i miei occhi: arte, amore e morte nella Parigi della bohème

Non dipingerai i miei occhi: l'ultimo romanzo di Grazia Pulvirenti racconta la storia d'amore tra Jeanne e Modì, tra arte, passione e morte.

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«Una ragazzina. Sola. Gli occhi lievemente asimmettrici, due ferite azzurre, uno strappo di cielo. Lo sguardo, che a tratti solleva e fissa nel vuoto, è magnetico. Rivoli azzurri traspaiono dalla pelle dei polsi, una garza tesa dentro cui l’anima ribolle. La bellezza di Jeanne è pari alla sua magrezza, un corpo troppo fragile per vivere e contenere la sua ostinazione».

 

L’incipit del romanzo di Grazia PulvirentiNon dipingerai i miei occhi (Jouvence, 2020) è miscela di parole, luce e colore. Vi appare la prima di tante immagini da cui si dipana una narrazione poetica e impetuosa che ricostruisce la tragica storia d’amore tra Jeanne Hébuterne e Amedeo Modigliani.

 

Sono trascorsi esattamente cento anni dalla morte del celebre artista, cui seguì il suicidio della poco più che ventenne compagna e collega, eppure sulla vicenda personale e artistica della pittrice si sa ancora poco ‒ colpevole il silenzio imposto dalla famiglia ‒ e solo recentemente ne sono state esposte le opere. Di lei restano i numerosi ritratti con cui Modì le ha «strappato l’anima»; restano quelle «due ferite azzurre», divenute in questo testo un inedito punto d’osservazione per raccontarne la storia.

 

È il 1916 nella Parigi bohémien in cui nacque l’École de Paris. Jeanne è una ragazza di diciannove anni che ama l’arte e, nonostante i malumori della propria famiglia, riesce a iscriversi all’Académie Colarossi e all’Accademia di Arti Applicate. Qui studia pittura, realizza abiti e gioielli e conosce Chana, una scultrice russa che la introduce nel conturbante quartiere di Montparnasse, ritrovo degli artisti confluiti nella capitale per creare una nuova arte. Al seguito dell’amica, Jeanne ne sperimenta l’inebriante atmosfera di miseria ed esaltazione e ne frequenta i caffè dove si riuniscono Picasso, Soutine, Foujita, Severini, Cocteau, Apollinaire e Modigliani: “l’italiano” da cui lei è già fatalmente attratta. 

Nelle prime pagine, però, può solo osservarlo da lontano, con trasognata ammirazione, e smaniare di conoscerlo. Quando finalmente riesce a incontrarlo, lui ne resta altrettanto folgorato e ne realizza il primo ritratto. Nasce, così, una relazione che è estasi dei sensi e dello spirito, ma su cui grava un presagio di morte che offusca la ragione quasi quanto l’alcol e l’hashish assunti regolarmente dall’artista: «Tu che ti credevi un Dio e colmavi di anima anche l’immondizia ai crocevia delle strade, ti aggrappavi alle mie spalle per paura di restare solo con la tua disperazione. E con la tua morte. Quel giorno mi svelasti il tuo segreto. “Jeanne, io sono maledetto, morirò prima di quanto tu possa immaginare. E questi stracci di giorni che mi restano saranno pieni di male e tu resterai sola, con il mio e il tuo dolore”. E mentre abbassavi lo sguardo, per la prima volta da quando ti conoscevo, io mi imbozzolai dentro di te, infilandomi nella cavità del tuo corpo smagrito: “Mon amour, io non temo la mia morte e non vivrò nemmeno un istante senza te”».

 

Jeanne è solo una ragazzina eppure ha le idee chiare sin dall’inizio: nulla ha senso lontano da Modì e dall’ideale artistico che egli incarna. Amore e arte costituiscono un binomio indissolubile per entrambi; ma è Modigliani che immola se stesso e tutto ciò a cui tiene sull’altare della bellezza; è lui che per dipingere l’anima deve, metaforicamente, distruggere la materia dei corpi fra i colori della tavolozza e, letteralmente, il proprio corpo fra gli eccessi di una vita dissoluta. Lei lo lascia fare, ma ne muore.

Già il titolo del libro è spia di questa urgenza di andare oltre, per rappresentare attraverso gli occhi ciò che non appare. Ma c’è di più: nella realtà, a differenza del romanzo, la frase «non dipingerai i miei occhi» fu pronunciata da Modigliani, non da Jeanne. Attribuita a lei assume, dunque, un valore di sfida e la affranca, almeno in parte, dalla visione di ragazza fragile e succube del grande artista. Se è vero infatti che ella mantiene la promessa di non restare in vita senza di lui, è altrettanto vero che con quel divieto gli nega l’accesso a ciò che di più prezioso possiede: l’anima.

Ma chi è Jeanne Hébuterne in questo romanzo? 

Forse ‒ ed è questo che affascina ‒ le centoquaranta pagine del libro non bastano a spiegarlo del tutto. Del resto, non ci si può stupire troppo se neanche l’uomo che ha accanto riesce a comprenderla fino in fondo…

La voce di Modigliani, in un parossismo di esaltazione, appare frequentemente insieme a quella della compagna. Da questa visione pluriprospettica emergono sfumature del carattere di entrambi, colte in relazione al loro diverso approccio alla pittura (e dunque alla vita): Jeanne cerca l’anima nei paesaggi e la verità nelle piccole cose; Amedeo non sopporta dipingere gli ambienti e lo interessano solo i corpi; capita che lei, in preda allo sconforto, desideri un’esistenza più ordinata, con lenzuola pulite e minestre calde; lui, al contrario, è insofferente alle responsabilità e disprezza ogni tipo di agio. Ad accomunarli, il logorante senso di solitudine e inappagamento, la strenua ricerca della bellezza assoluta…

 

Per trattare una materia tanto affascinante, Grazia Pulvirenti, Professore Ordinario e titolare della Cattedra di Letteratura Tedesca presso l’Università di Catania, regista e Presidente della Fondazione Lamberto Puggelli, arricchisce il lessico già minuzioso con citazioni originali dei protagonisti, eleganti metafore e sinestesie. La sua è una prosa opulenta, in cui ogni parola rappresenta un tentativo (riuscito) di spingersi oltre il mero racconto per scrutare attraverso le «due ferite azzurre» e far sì che quello «sguardo silente possa ancora parlare»

 

 

©riproduzione riservata 

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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