“Fino all’ultimo raggio di luna”, lo spettacolo teatrale per la regia di Tatiana Alescio, tratto dal romanzo “Un tram per la vita” di Tea Ranno e portato in scena al Planet in occasione della “Giornata della memoria”, pur riesumando la retata nazista del ghetto di Roma, è un omaggio alla speranza, fra musica e passi di danza. La storia è ispirata a quella di Emanuele Di Porto, un ebreo che nel 1943 aveva appena 12 anni e che in una notte ottobrina fu separato per sempre dalla madre, portata via dai tedeschi. Il bambino, che ha altri cinque fratelli, tra cui Betta, si avvicina al camion per strapparla alla morte, ma lei, Virginia Piazza, che il marito chiama Ginotta, lo respinge duramente, regalandogli, così, la buona sorte. Emanuele, grazie alla complicità di un tramviere, trova provvisoriamente rifugio nel mezzo: “È mio nipote” dice il signor Mario, che ogni giorno accompagna alla mèta i passeggeri, per loro la morte è sempre in agguato, scoppiano le bombe, la vita è un afflato. Sul tram si ripercorrono gli eventi: «È dal ’38, da quando furono varate le leggi razziali, che siamo senza diritti, semo cose, e gli uomini non è vero che li portano nei campi di lavoro, ma nei cimiteri»; «I fascisti hanno detto che dei rastrellamenti non ne sanno niente».
Emanuele torna a casa e da ometto che è sempre stato, va a fare lo “stracciarolo”, la sorella, Betta, accudisce gli altri fratelli e si occupa delle faccende domestiche. Il ricordo della madre è un’immagine che lo affianca, una voce che echeggia armoniosa, in quella vita che sembrerebbe di solo spine, senza rose. A lei che ce piaceva il cinema, «perché là nun pò succedere niente di brutto», che mentre spadellava stava a sentì la musica dell’attrice famosa, e quella che faceva “soli soli nella notte”. «Oh, Dio, quant’è bella mi madre, ma la nostra casa senza di lei è un corpo senz’anima», vi cresce il dolore, l’amore tace. E mentre il padre di Emanuele, rientrato a casa, è in preda alla depressione, il ragazzo non si abbatte e cerca nella bellezza la resurrezione. Pensa, dunque, a Ruth, la coetanea di cui è invaghito, basta quel ricordo tenero, e l’amaro in bocca sembra addolcito. Uno spettacolo a cui la regista ha dato un taglio diverso dai suoi precedenti lavori sulla Shoa, quando, come in “Fame d’aria”, la narrazione si dipanava all’interno del campo di concentramento, a differenza di tale performance in cui lo spazio privilegiato è l’esterno. E quando la guerra è finita, «Siamo liberi», evviva la vita, il palco diviene una sala da ballo, la musica è dei Pink Floyd, una vera goduria per tutti noi. Alla prima e alla replica hanno partecipato i seguenti istituti scolastici: Gagini, Rizza, Sacro Cuore, Giaracà, Vittorini, Martoglio, Quasimodo di Floridia, Lombardo Radice, Chindemi, Wojtyla. Hanno calcato la scena: la stessa Tatiana Alescio, Sergio Molino, Rosalba Cosentino, Marta Atria, Mary Accolla, Giuseppe Orto, Aurora Trovatello, Lucia Giudice, Riccardo Scalia. La voce fuori campo è stata di Enzo Brasolin. Luci e suono di Valeria Annino.
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