Carlus Padrissa, volto e mente dietro al progetto e alla compagnia La Fura dels Baus, ha debuttato ieri al Teatro Greco di Siracusa per la 56° stagione della Rappresentazioni Classiche, con la tragedia di Euripide Le Baccanti nella traduzione di Guido Paduano. Della messa in scena Padrissa firma regia, scene e musiche, le coreografie sono di Mireia Romero Miralles, mentre i costumi di Tamara Joksimovic.
Le Baccanti si sono mostrate estreme, lussuriose, rumorose, colorate e feroci, al seguito del dio Dioniso (ottimamente interpretato da Lucia Lavia) che con il tirso e il vino hanno animato il Teatro Greco di Siracusa, risvegliando i nostri istinti primordiali. Tutto nella norma, direte. Si tratta di materia vista e rivista. Ma così non è.
Padrissa nella sua messa in scena di Baccanti rispolvera l’antico e quasi dimenticato deus ex machina greco, inventato migliaia di anni fa e adesso riportato sulla scena, con le sue carrucole, le luci e i suoni. Il coro di Baccanti, interpretato quasi interamente dagli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico di Siracusa, infatti, nella parodo traina un titanico toro meccanico e antropomorfo, mentre alle sue spalle Zeus in Semele, divaricando le gambe, “espelle†il Dio, Dioniso. Successivamente il coro si solleva da terra in un vortice elicoidale rosso purpureo, che mette in scena il baccanale, con i suoi riti antichi e il vino/sangue che scorre a fiumi, infine, lo stesso vortice di voci e corpi, come nell’Inferno dantesco, accompagna l’ascesa di Dioniso al cielo, assumendo una forma circolare, che lo stesso regista ha definito «la metà perfetta a completamento del Teatro, la cui altra metà è il pubblico siracusano». Il coro diventa quindi una sorta di organismo pluricellulare vivo e pulsante, che batte la terra e scuote il tirso al ritmo dei canti del rito e si dimena in danze sfrenate, al punto da investire e coinvolgere il pubblico nella sua trance dionisiaca. La prova d’attore che questi giovani interpreti portano in scena non è solo emotiva, ma soprattutto fisica e a loro va tutto il mio plauso.
A fare da sfondo al coro tutto i canti e i lamenti ancestrali ed armonici (con la talentuosa direzione di Simonetta Cartia ed Elena Polic Greco), che ipnotizzano al pari dei giochi pulsanti di vita e morte che si svolgono davanti ai nostri
Nella “fura†di Padrissa antico e moderno non sono mai stati così vicini e consimili. A ribadire il legame con le radici del mito è l’albero genealogico disegnato, bianco su nero, che occupa metà della scena e viene illustrato da re Cadmo (Stefano Santospago) che si accompagna con Tiresia (un eccellente Antonello Fassari), il quale, barcollando da dietro un testone metallico, con braccia che escono dai buchi degli occhi a denunciarne la mitica cecità , dà lezioni di teologia a Penteo (Ivan Graziano), che dal canto suo si fa castigatore di costumi e difensore della morale, un po’ infantile un po’ isterico. Allo stesso tempo le parole di Cadmo, ora politico opportunista che cavalca l’onda del nuovo culto ora grande padre annichilito dal dolore per la tragedia appena compiutasi, assumono un tono nostalgico per i tempi andati quando, nel rievocare la moglie Armonia, intona con Tiresia “La stagione dell’amore†di Battiato (espediente grottesco, ma molto apprezzato).
Alla fine della tragedia si erge a gran voce l’urlo: “Todos somos Bacoâ€. Slogan, quanto mai politico, ispirato alle proteste delle donne messicane del 2019, che ritroviamo anche sullo striscione che il coro porta in scena, con cartelli e tamburi, dopo che la vendetta di Dioniso nei confronti di Penteo è ormai compiuta. Siamo tutti Dioniso, quindi, ma anche Penteo: Dioniso è uomo (o donna in questo caso!) e Dio, mentre Penteo è sia un governatore incorruttibile che un groviglio di istinti e desideri repressi e, come tale, Dioniso si prende gioco di lui e delle sue invettive.
Una sola cosa resta da dire: queste Baccanti sono magistralmente guidate sulla scena da Lucia Lavia, attrice tutto tondo che vale la pena vedere in queste vesti.