Nell’ordine disordinato o, se volete, nel disordine ordinato con cui sistemo i libri nei miei scaffali, una loro coerenza riesco a dare ai libri che parlano di libri e dei malati di libri: bibliofolli e bibliomani (sinonimi che, per gli affetti da quel pernicioso flagello, hanno, a confermarne lo stato morboso, non poco valore dirimente nell’asperrima contesa della primazia), bibliolatri e biblioladri (che, si badi bene, non sono due categorie distinte e separate di insani, giacché, sovente, l’adoratore convive col predatore in forme e modi ermafroditici: predadoratori di libri, dunque, come nel caso, esemplare, di Marino Massimo De Caro, il custode-saccheggiatore della Biblioteca dei Girolamini, a Napoli, e di altre Biblioteche pubbliche, nonché sodale dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, bibliofilo e tanto altro…).
Se tralasciamo i biblioclasti – fratelli diversi degli iconoclasti, cioè i distruttori di immagini –, che i libri li distruggono come che sia, e i bibliopirpoleti, che incendiano i libri per tutte le sragioni possibili, la principale delle quali è «modificare a piacere, impunemente, la narrazione della storia […] e difende[re] un futuro meno eterogeneo, meno discrepante, meno ironico» (Irene Vallejo), una delle più intriganti forme di demenza legata all’uso improprio della carta, bianca o scritta che sia, è la bibliofagia.
Scorrendo il catalogo dei libri della “Memoria” selleriana, mi ha incuriosito un titolo, Il mangiatore di carta, 2017, pp. 144, € 12,00, di Edgardo Franzosini. L’ho comprato e poi l’ho letto, con vero trasporto, in un paio d’ore. Vi si racconta, con scrittura piana e accattivante, la curiosa malattia che s’insinuò in un giovane svedese, Johann Ernst Biren (il sottotitolo è Alcuni anni della vita di Johann Ernst Biren): mangiare carta.
Nella ricerca delle fonti di quella vicenda, che si svolse nella Svezia dei primi decenni del XVIII secolo ed ebbe come protagonista un giovane ventenne, nato nel 1690, appunto il Biren, la cui «propria esistenza – scrive Franzosini – inizia ad averla nel momento in cui il caso lo fa incontrare col barone di Goertz», Georg Heinrich von Goertz, “il famoso ministro di Carlo XII”, re di Svezia, pronubo è nientemeno che Honoré de Balzac. Nelle pagine del romanzo Illusioni perdute, Balzac riferisce di Biren e di Goertz e del loro casuale incontro. Goertz ha licenziato il suo segretario-scrivano-copista e, in un’osteria, s’imbatte in un giovane di una bellezza sconvolgente che fa, di malavoglia, l’indoratore di posate. Appena Goertz lo vede se ne invaghisce (Goertz è omosessuale) e, apprendendo dall’oste che è il figlio dell’orafo di Eberfeld, si chiede se «avendo una buona calligrafia, non sappia inoltre tenere celato un segreto».
Assunto come copista-scrivano-segretario, Biren entra nel ruolo di segretario con tale intensità da far morire i segreti delle relazioni diplomatiche e dei trattati da ricopiare dentro il suo stomaco e, da qui, negli scarti corporei (nel processo che subirà, quando il suo vizio fu scoperto dopo che aveva ingoiato il trattato dell’accordo stipulato, nel 1717, da Carlo XII e Pietro III, zar di Russia, furono esaminate le sue feci). Franzosini segue il suo “autore” Balzac, ma aggiunge altre fonti, che egli cita nel corso del suo racconto, fornendoci però anche un’immagine del grande narratore francese e, tra le altre cose, «dell’avidità incontenibile di Honoré, del suo pantagruelismo».
Alla pena di morte Biren sfuggirà per l’aiuto che gli fornisce il suo protettore von Goertz. Ne agevola la fuga e lo fa imbarcare su un vascello che lo porterà in Curlandia, dove sarà ospite del duca Ferdinand von Kettler, che ha giusto «bisogno di un segretario che metta ordine nella corrispondenza». Ma Biren non ha appreso niente dal rischio di morte che il suo vizio gli ha causato. Riprende anche in Curlandia a masticare carta Fabriano (!), senza mostrare preferenze per l’uno o l’altro tipo di carta, finché non viene scoperto ancora una volta per avere masticato e golosamente deglutito l’incartamento sulle finanze della Stato. Stavolta, però, gli va non solo bene, ma di lusso. Il duca aveva per moglie Anna Ivanovna Romanova, nipote di Pietro il Grande, la quale non era rimasta insensibile alla stregante bellezza del giovane Biren. Quando Biren si rende conto del pateracchio che ha fatto ingoiando i documenti reali, corre a chiedere perdono ad Anna, che dorme in un’ala del castello lontana da quella in cui si trova il duca.
Il finale non ve lo racconto, sennò mi attiro gli strali dei miei cinque lettori. Leggetelo, vi divertirete.
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