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COME GLI ITALIANI ALL’ESTERO VEDONO L’EMERGENZA COVID-19. L’ESPERIENZA DI UNA SIRACUSANA

2020-06-11 14:04

Francesca Brancato

Intervista, siciliani nel mondo, Covid-19,

COME GLI ITALIANI ALL’ESTERO VEDONO L’EMERGENZA COVID-19. L’ESPERIENZA DI UNA SIRACUSANA

I siciliani all'estero e la loro esperienza con la pandemia. Timori, approcci e la voglia di tornare in Italia?

Da quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus abbiamo assistito alla chiusura dei porti e degli aeroporti, ai voli dirottati mentre alcune tratte sono state completamente cancellate, alla cancellazione dei treni. Questo non solo in Italia, ma a livello internazionale, specialmente dopo la diffusione massiccia del virus. In Italia, dopo i primi contagi al Nord tanti sono stati i cittadini che, assalendo gli ultimi treni e voli notturni, sono letteralmente fuggiti verso il Sud, verso casa e famiglia. Da allora il nostro Paese e tutta l’Europa sono entrati in quello che chiamiamo lockdown: tutti ci siamo isolati in casa, per la nostra sicurezza e quella dei nostri cari.

In questo contesto tanti sono stati gli Italiani costretti all’estero, per lavoro o piacere, che per oltre un mese hanno pensato di non poter più tornare a vedere gli affetti e le famiglie, credendo magari di trovarsi al sicuro, perché l’Europa è accogliente ed evoluta e, in caso di difficoltà, avrebbero avuto tutto l’aiuto necessario. Ma se non fosse realmente così? Se l’emergenza Coronavirus non avesse lo stesso impatto su tutti gli Stati e i Popoli dell’U.E.? Ci siamo posti il problema e abbiamo fatto qualche ricerca, notando come nell’UE la questione COVID-19 sia stata affrontata con modalità differenti, a partire dagli obblighi per la popolazione. I risultati della nostra ricerca sono stati confermati da una chiacchierata che abbiamo avuto con Eleonora Russo, giovane siracusana residente in Inghilterra da qualche anno.

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1) La decisione di rimpatriare è stata tua o il Governo inglese ha dato disposizioni per i residenti non inglesi?

Diciamo che è stata una scelta mia, ma sicuramente dettata dalla gestione della situazione da parte del Governo inglese. Da quando anche in UK è stato istituito il lockdown ci era consentito uscire solo per fare la spesa, comprare i medicinali, andare a lavoro (se sei un lavoratore essenziale) e fare un’ora di sport. Il tutto comunque senza obbligo di portare mascherine o guanti (obbligo riservato solo agli ospedali) e mantenendo quella che per loro era la cosa più importante: la social distancing di 2 metri tra le persone. Detto ciò, magari in TV le strade principali venivano mostrate vuote, ma per il resto la gente ha continuato ad uscire e a passeggiare per come nulla fosse, mentre nei supermercati si affollano tante, troppe persone… È a causa di questo clima generale di superficialità che ho preso la mia decisione. Inizialmente sono andata in campagna da alcuni miei parenti in West Sussex, ma quando Alitalia ha aperto dei voli da Roma a Catania non ho esitato e ho avvito la procedura per rientrare a casa.

2) Per i pazienti sospettati di essere affetti dal virus come si procede in UK?

Non fanno test, perché non ne hanno. Una mia mia amica è stata quasi sicuramente affetta da COVID-19, ha chiamato il numero di emergenza e le hanno detto di prendere del semplice paracetamolo, per poi recarsi lei in ospedale solo se la situazione fosse peggiorata. Lei è stata male quasi 10 giorni e per fortuna si è ripresa. Come lei, quindi, ci saranno moltissimi casi non accertati, perché la gente, pur essendo malata, non è mai stata soggetta a tampone, mentre in Italia so che lo fanno subito una volta avviata la richiesta. Visto questo non mi sono sentita protetta e mi sono allontanata.

3) Da un punto di vista lavorativo, per te che sei una lavoratrice italiana, il Governo inglese come si sta muovendo?

L’hotel dove lavoro è chiuso per il momento, ma il Governo contribuisce per buona parte del nostro stipendio, quindi sono in grado di provvedere alle mie spese, ma sicuramente non ho motivo di restare a Londra in questa situazione. Questa è una disposizione che il Governo inglese ha stanziato eccezionalmente per noi lavoratori che siamo stati “furloughed”: ovvero con attività lavorative sospese, ma senza la perdita del lavoro in sé.

4) Come ti sei dovuta comportare una volta rientrata in Italia?

Mi sono registrata presso la Regione Sicilia e presso l’ASP di Siracusa. Sono stata messa in quarantena per 14 giorni, alla fine della quale dovrebbero farmi il tampone. In casa sono in autoisolamento, ovviamente, quindi vivo con la mia famiglia, ma indosso sempre la mascherina e disinfetto tutto ciò che tocco e non mangio né sto nella stessa stanza con i miei familiari, per sicurezza. Alla fine meglio 2 metri di distanza che 2550 chilometri!

5) La tua famiglia come ha vissuto questa situazione particolare, sapendoti lontana, e poi quando hai deciso di tornare?

Adesso sono tranquilli e si sono tranquillizzati dal momento in cui mi sono spostata da Londra in campagna. Ma inizialmente erano molto preoccupati. Considera che a Londra il lockdown è iniziato il 23 di marzo, ma io mi ero “autoisolata” in casa già il 13, perché all’inizio si diceva che in Inghilterra fossimo quattro settimane indietro all’Italia, rispetto ai contagi, poi 3, poi 2…

6) Questa esperienza ha cambiato il tuo modo di vedere l’Inghilterra e la tua situazione lì?

In generale questa esperienza mi sta facendo pensare tanto alla mia situazione all’estero, perché prima mi sentivo a casa, felice, con tanti sacrifici, ma con una carriera in mano. Purtroppo però gli inglesi non si sono mostrati all’altezza, perché il Governo parla di “immunità di gregge”, poi cambia direzione, poi chiude tutto con il contagocce, adesso la task force del vaccino.

7) Un’ultima domanda. I tuoi amici inglesi che, per ovvi motivi, sono rimasti in UK, come vivono tutto questo cambio repentino di idee da parte del Governo Johnson?

C’è molta censura nelle informazioni e non ci sono dibattiti politici o di opinione pubblica in TV. Quindi le sole informazioni che trasmettono sono quelle date durante le conferenze stampa giornaliere. Io sono stata sempre molto schietta, specialmente con i miei amici inglesi, che, a dispetto di quello che si può pensare, sono molto disinformati e superficiali. Ho anche avuto discussioni con una mia collega, in merito alla gravità della situazione attuale, dicendole che se in UK le persone si battono per avere i pub aperti, in Italia la gente combatte per la vita e che se il lockdown ha aiutato la Cina ad uscire da questa crisi sanitaria delle ragioni ci devono essere. In generale posso dire che l’Inghilterra non è Londra. Londra è multiculturale, aperta, veloce, giovane, come fosse uno Stato a parte, mentre tutto il resto del Paese si mostra ignorante, presuntuoso, razzista e patriottico. Motivo per cui ha vinto la Brexit.

 

© riproduzione riservata

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Siracusa. Numero di iscrizione 01/10 del 4 gennaio 2010

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