«La Ricerca è l’unico romanzo che s’approssima davvero all’esistenza, che coscientemente ne vive i tempi e l’assoluta precarietà, che pensa e vive la vita come un eterno crepuscolo nel quale è iscritto il nostro dovere conoscitivo che, unico, ci salverà dalla dannazione. Rileggerne l’inizio è per me cominciare ogni volta una vita nova».
Si chiude nel segno di Marcel Proust il potente romanzo d’esordio di Paolo Scardanelli, L’accordo. Era l’estate del 1979 (Carbonio, 2020): felice approdo per il lettore, reduce da una brillante e a tratti allucinata discesa nel regno indistinto della memoria. Diversamente infatti da quanto ci si potrebbe aspettare da un libro che reca nel titolo una data ben precisa, il memoir di Paolo Scardanelli restituisce sì le atmosfere ruggenti degli anni ’70, ma da una prospettiva profondamente intima che talvolta ‒ e specie nella seconda parte ‒ appare quasi svincolata da limiti temporali. È la prospettiva lirica e disincantata di chi si volge indietro per scovare il senso del presente, per tornare al momento esatto in cui si sono decise le sorti di tutta la sua vita a seguire: l’estate del 1979, appunto. È quella la stagione in cui i due protagonisti, Paolo e Andrea, all’indomani del diploma di Maturità, devono scegliere come proseguire il loro percorso esistenziale.
La vicenda, ambientata a Catania, è narrata da Paolo, che ormai adulto e lontano dalla Sicilia sceglie di cominciare il racconto a partire da un breve viaggio in Friuli, dove con alcuni amici aveva partecipato a un campo estivo organizzato dalla Federazione Giovanile Comunista Italiana. Il tono canzonatorio con cui è rievocata quell’esperienza si deve all’affievolirsi dello spirito rivoluzionario che aveva guidato la contestazione giovanile: nella stagione rievocata dal narratore l’eccitazione collettiva, derivante dalla lotta contro la triade Dio-Stato-Famiglia, sta di fatto per lasciare il posto a un pericoloso senso di inadeguatezza, a una rabbia vuota che non trova sbocco.
Tornato in città, Paolo trascorre un pomeriggio con l’amico fraterno Andrea, un’«anima malata di nostalgia», incapace di accordarsi col mondo e in perenne conflitto col padre. È uno dei rarissimi momenti del romanzo in cui i due ragazzi appaiono insieme: il loro incontro si consuma in un tempo rotto dalle immagini che lo hanno preceduto e dilatato dall’occhio attento che lo scruta dal futuro.
«D’un colpo ci avvedemmo che tutto era deciso: la nostra amicizia, così com’era stata in quegli anni, intensa, quotidiana, fatta di scambi accesi e necessari, non sarebbe più stata, troppa la distanza tra le nostre vite future, un oceano di mezzo che nessun aeroplano avrebbe potuto colmare. Ognuno avrebbe fatto la sua vita».
C’è una domanda a cui, se si nasce in Sicilia, presto o tardi si dovrà rispondere: partire o restare? Dalla risposta dipende tutto il resto, nella realtà così come in letteratura. Su questo bivio l’autore ha costruito il suo romanzo: Paolo va; Andrea resta e con lui il lettore. Da questo momento, infatti, la scrittura è scavo nei suoi luoghi, mentali più che fisici ‒ anche se non mancano vibranti descrizioni di paesaggi, quale per esempio quella del monte Etna ‒, nei suoi affetti turbati, nelle stanze vuote e colme di fumo in cui cerca riparo dal mondo.
Il rapporto castrante col padre, l’incapacità di vivere una matura relazione amorosa, il senso di disagio sconfinante nell’alienazione: con l’uscita di scena del Paolo-personaggio è insomma il bildungsroman (romanzo di formazione) di Andrea a prendere forma, una bildung incapace a compiersi, com’era già accaduto per i protagonisti di molti romanzi novecenteschi. A questi temi ‒ resi con una lingua elegante e un vocabolario ricco che non lesina su aulicismi e varianti letterarie ‒ si legano digressioni filosofiche e fulminanti epifanie di pochi altri personaggi dalle vite alquanto malmesse, in una progressiva osmosi tra realtà agita o solo pensata: un magma narrativo che tutto ingloba, turbato da un crescente presagio di sciagura imminente.
Su tutto domina una certa tensione all’astrattezza ravvisabile sia in alcune ambientazioni ‒ non è un caso forse che il nome di Catania quasi non figuri ‒ sia nella struttura del testo: nella seconda parte scompare infatti la distinzione in capitoli, a favore di una più fluida divisione in paragrafi, in cui la narrazione diviene talvolta lamento solenne e delirante, affidato alla prima persona e all’indiretto libero.
L’accordo. Era l’estate del 1979 è un romanzo sociale e onirico insieme, dallo stile ora caustico ora ricercato, le cui atmosfere fumose sembrano fuoriuscire dalla fitta prosa letteraria e investire lo stesso profilo dell’autore; basta leggere la bandella del libro per rendersene conto: «Paolo Scardanelli nasce a Lentini nel 1962. Geologo, vive nella Sicilia orientale. Poco altro si sa di lui».
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