La scuola delle mogli, celebre commedia di Molière, rivisitata dalla regista, Tatiana Alescio, e rappresentata al Teatro del Canovaccio di Catania, è divenuta un esilarante copione su chi, accecato dalla gelosia, ha perso il lume della ragione. La commedia, spartiacque tra il precedente teatro comico e quello realistico, in cui la carta vincente è il mix tra verità e ilarità, è una sferzata alle usanze del ‘600, ma la morale sottesa sfida indenne il fluire del tempo. Nella messa in scena di Tatiana Alescio che, sulle note del Rondò Veneziano, ha previsto un ballo di ingresso, i nomi dei personaggi ricalcano la tradizione, la tematica non è scalfita, il linguaggio e le battute sono il frutto della sua fervida invenzione. L’argomento, certo, non è una novità, le corna messe all’uomo ne ledono la dignità. Sul palco, dunque, sale Arnolph (Sergio Molino) il quale, ahimè, tradito dalla moglie, adotta la piccola Agnese che, crescendo pura e innocente, un giorno ne potrà soddisfare le voglie. Povera Agnese (Tatiana Alescio) costretta a vivere dentro una campana di vetro, ops, una gabbia dorata all’uopo sul palco accomodata.
Quello splendore di ragazza, seni prorompenti, capelli biondi e un’indicibile grazia, è ingenua fino al paradosso, brilla il suo candore anche se dentro di lei si fa strada un certo fervore. Ma siccome il diavolo vi mette spesso lo zampino e Cupido scocca le frecce dell’amore con le sembianze di un puttino, arriva Horace (Giuseppe Orto) che della fanciulla dal linguaggio sgangherato conquista il suo cuoricino. E nonostante la voce del padrone (Arnolph) le abbia intimato che certe cose - signori miei - costituiscono grave peccato, Agnese, ormai sedotta, si abbandona a un profluvio di parole che su Horace hanno l’effetto di un raggio di sole: «Forse non mi esprimo moltemente bene»; «Non può essere peccato mortale una cosa così dolcificata»; «Vi amo tutta para para».
Arnolph, per il quale «non esiste uguaglianza fra gli sposi, il marito comanda, la moglie obbedisce» intima alla serva (Lucia Giudice) assai sempliciona, di sorvegliare sullo spasimante, perché mai possa diventare della sua Agnese l’amante. Ma si sa che l’amore ha spesso il sopravvento e Horace, figlio di Oronte, amico di Arnolph, si confida con quest’ultimo, che cela la sua identità sotto un falso nome (Del Ceppo). Il finale comunque è lieto, del teatro comico la commedia ha conservato anche il faceto. Crisalide, contessa Giselle (Mary Accolla), intercede e svelando un segreto di famiglia ritiene che Horace possa mettere al dito di Agnese - sorprendentemente scaltra - una fede. I costumi sono di Mary Accolla: parrucche e belletti, sottovesti bianche e stringenti corpetti, calzoni voluminosi fissati al ginocchio, stivali con bordi ripiegati e scarpe decorate con fibbie a più non posso. È proprio lei a far calare il sipario: «Questa è la morale, per evitare le corna basta non doversi maritare».
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