La presentazione dell’ultimo CD di Erika Ragazzi, “Nativo”, – esemplificativo del senso di appartenenza dell’autrice e del viaggio esplorativo alla ricerca della propria identità – è divenuta occasione per esaltare la valenza della musica in generale e il tributo che la sua in particolare deve al cinema. Presso la Biblioteca civica di Lentini, dove ha fatto gli onori di casa il dirigente, Giuseppe Cardello, Giuseppe Gingolph Costa ha dialogato con la compositrice che, chioma inanellata e movenze da gitana, ha dato voce al suo violino. Pennellate di forza e note struggenti che, incrociandosi con le riproduzione elettroniche del pianoforte, sono divenute musica sorgiva i cui echi orientaleggianti hanno illanguidito l’anima. Melodie da ascoltare con gli occhi chiusi, tra i morsi di una cruda realtà, ansie proiettate sul domani, trasvolate nel mondo onirico, e quella corrente che, attraversandoci, rende l’orlo del precipizio una sommità.
«Il titolo del mio CD “Nativo” – ha spiegato Erika Ragazzi – è un omaggio alla mia città natia, Lentini, appunto, dove lo sto presentando. Le suggestioni della mia musica, che è alito e anelito di madre terra, sono collegate alla cinematografia e sollecitano il ricongiungimento delle nostre radici con l’istantaneità del presente. Dovremmo avvalerci del concetto di maieutica, indispensabile per far emergere il fanciullo che vive dentro ciascuno di noi e che serve, tra l’altro, a mantenere vivo il sacro fuoco dell’arte».
Dal canto suo, Giuseppe Gingolph Costa, soffermandosi sui singoli brani, ha approfondito il senso di quelle suggestioni e rinsaldato l’immaginazione del pubblico.
E, dunque, vai con “The Ocean”: «La meccanica del brano è sorprendente, una corrente di fondo sospinge il nostro ascolto verso un viaggio interiore, al ritmo di una musica direi zingaresca»; “The open space to see”: «A dispetto dello spazio aperto esplicitato nel titolo, la musica racconta di passioni degenerate, di una storia torbida, come quella di un giallo siciliano che, fedele alla tradizione, resta spesso irrisolto, senza l’individuazione di un colpevole»; “Connection” che richiama Beethoven: «Vi è una connessione tra il qui e l’altrove e non tra il qui ed ora. Ho immaginato una storia d’amore tra due donne, di cui una però vissuta in un tempo lontano, ma legate da una rassomiglianza impressionante»; “Elements”, in cui la ritmica si impone con prepotenza: «Ogni battito ha il suono di un’emozione, la melanconia che vi serpeggia materializza le potenzialità non colte che sfociano nella cocente delusione»; “Nativo” che ha dato il titolo a tutto il disco: «Ha un’eco tribale, un retrogusto esotico, ed è evocativa di savane, di nuvole di fumo in cui l’oppio avvolge nell’ombra gli incantatori di serpenti».
L’evento è stato contemplato nell’àmbito della terza edizione di “Venti di primavera”, la rassegna culturale patrocinata dal Comune di Lentini e dalla Biblioteca civica. Una serata magica, dunque, in cui il suono della parola è stato fonema ed onda sonora, vibrazione di archetti, di ventri e di corde dell’anima.
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