Molte sono le festività religiose che si susseguono nel corso dell’anno liturgico, ma il Natale è sicuramente l’appuntamento più atteso dai cristiani, in quanto celebra la nascita di Gesù nella grotta di Betlemme, così come tramandato dai Vangeli. Il Natale, da sempre, è la festa dell’intimità familiare, che spinge le persone a raggiungere la famiglia di appartenenza per trascorrere assieme questo tempo di pace, serenità, gioia e intimità.
I nostri padri, quando si avvicinava il tempo natalizio, erano soliti ripetere un antico proverbio che sintetizzava il senso delle festività natalizie: «Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi» era il tran tran che si sentiva ripetere in ogni famiglia a significare che in questo periodo la famiglia fosse il "centro del mondo". Un unicum nel mondo globale di oggi, che riesce, in un clima di condivisione, a coinvolgere tutti gli uomini.
Momento centrale è senza alcun dubbio il presepe, ancora oggi allestito in ogni casa secondo una tradizione millenaria, risalente al XIII secolo e che, nonostante le trasformazioni intervenute, presenta un fascino sempre particolare.
Il primo presepe risale alla notte di Natale del 1223, quando a Greggio, un piccolo paesino del Reatino, San Francesco d’Assisi insieme all’amico Giovanni Velita, rievocò la nascita di Gesù Bambino, organizzando fra la popolazione una rappresentazione vivente della nascita di Gesù.
Da quel momento in tutta la Cristianità venne allestito con meticolosa preparazione il presepe, momento clou del Natale prima che la civiltà industriale tentasse di sostituirlo con l’albero di Natale, simbolo del consumismo.
Oggi, dopo un lungo oblio, il presepe, anche se con le dovute modifiche, è ritornato ad essere centrale nelle famiglie cristiane. La sua preparazione non richiede quell’impegno quotidiano di una volta, quando si andava nelle campagne a staccare il muschio dalle pietre dei muri a secco per creare un manto erboso vivo, né la costruzione dei pastorelli viene affidata agli artigiani della creta. Eppure tornare indietro con la memoria permette di rivivere quel clima di attesa che, dopo la festa dell’Immacolata, permeava l’atmosfera delle famiglie, contadine così come aristocratiche.
Ogni paese aveva le sue tradizioni che custodiva gelosamente e trasmetteva alle generazioni successive, anche se spesso queste tradizioni erano comuni ad altri centri abitati del siracusano, come la messa della novena che si celebrava di mattina prime del sorgere del sole, nonostante il freddo di dicembre si facesse sentire. Erano soprattutto le donne (avvolte negli scialli e nelle mantelline nere) e i ragazzini (che con tanto entusiasmo raggiungevano la chiesa al primo suono delle campane) a partecipare attivamente alla novena, mentre qualche contadino che passava si fermava per recitare una preghiera e successivamente proseguire per i luoghi di lavoro.
“Il paesello è ancora immerso nel buio e nel silenzio – scriveva Crescimanno nel secolo scorso – quando le campane delle chiese suonano a festa, per annunziare ai fedeli che cominciano le prediche del Santo Natale. Dalle case sbucano, imbacuccate negli scialli o nelle mantelline, signore e popolane, che sembrano paurosi fantasmi nell’ombra delle strade, scarsamente interrotta dalla morente luce dei pubblici fanali. Si recano alle chiese. Cadono, intanto, tra forti e rade folate di vento, acqueruggiole e gelido nevischio: li nivarrati di Natale” (S. Crescimanno, Il Natale di Melilli).
In chiesa, poi, ogni donna prendeva la sedia, pagando una somma in denaro. Chi non se lo poteva permettere seguiva in piedi, dal fondo della chiesa. Altro uso era quello di comprare i biglietti per il sorteggio del Bambino Gesù in cera o delle immaginette sacre. Era il sacrista che girava tra le fila delle donne per segnare su striscioline di carta li positi (le polizze) i nomi, soprattutto di defunti per il sorteggio che avveniva alla fine della Messa.
Una tradizione tipica di Melilli era la novena cantata da un’orchestrina che girava per tutte le case durante i nove giorni subito antecedenti al Natale.
Fin dai primi giorni di dicembre Jtanu Cardiddu (cieco violinista) andava in giro per il paese distribuendo di porta in porta li fiureddi di lu Bammineddu (le immaginette di Gesù Bambino), per verificare quante famiglie erano disposte, dietro il pagamento di una somma in denaro, ad ospitare l’orchestra nelle abitazioni. Oltre al violino, gli altri strumenti dell’orchestra erano violoncello e contrabasso, che costituivano u sonu.
Seguiti da nugoli di bambini, i tre orchestrali, di mattina si esibivano nelle case degli operai e dei contadini, dove cantavano le sole strofe della pastorale; di pomeriggio, nelle case dei ricchi aristocratici, invece, iniziavano con un valzer, per permettere a tutti i presenti di ballare e solo dopo suonavano e cantavano la pastorale.
La pastorale, composta da ventisette strofe, iniziava con l’editto dell’imperatore che bandiva il censimento: Na li stremi gran fridduri/ jetta Cesari nu bannu;/ tutti i nobili signuri/ tutti a scriviri si vannu./ E agnunu a ddu cumannu/ bidienti si truvava;/ a Battalemmi tutti vannu/ unni Cesari abbitava./ Maria santa si truvava/ cu Giuseppi ‘n cumpagnia;/ lu viaggiu cuntimplava/ ca avia a fari lunga via.
La lunga pastorale, poi, si concludeva con l’invito a tutti i pastori ad essere allegri per la nascita del Redentore: Stati allèchiri pasturi;/ bellu jornu ch’è dumani, ca nasciu lu Ridinturi ‘n menzu l’acqua e li fridduri.
“Cardiddu diventa, nella novena di Natale, l’uomo del giorno; cercato, complimentato, adulato; i bimbi lo seguono a frotte per le strade; le signore lo aspettano con ansia e sentono vellicarsi le piante dei piedi quando percepiscono, da lungi, il grugnito del contrabasso. Così s’inoltra la novena. Nelle chiese: messe, prediche, benedizioni; nelle case Cardiddu che canta la pastorale che racchiude in ventisette strofe, la storia intera del viaggio di Maria e Giuseppe da Nazaret alla grotta di Betleem” (S. Crescimanno, cit.).
Questa tradizione è durata fino agli anni Ottanta del secolo scorso, per poi scomparire definitivamente inghiottita dal miraggio industriale, che l’ha cancellata, come tante altre legate a quel mondo contadino, che era geloso custode del passato.
di Paolo Magano
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