TAVOLA ROTONDA [Accuminciamu] - “Chi si loda si imbrodaâ€, recita l’adagio. Un rischio – invero molto attenuato – che provo a correre consapevolmente ricorrendo ad una sorta di autocitazione “indiretta†che mi appare, tuttavia, utile per provare a far prendere il largo, in maniera quanto più ordinata sia possibile, a qualche mia riflessione. Giancarlo Tartaglia, “storico†direttore della Federazione Nazionale della Stampa Italiana  (il sindacato unitario dei giornalisti italiani) e, da ultimo, Segretario Generale della Fondazione sul giornalismo Paolo Murialdi, nella sua prefazione al mio recante instant ebook “Fakecrazia – L’informazione e le sfide del coronavirus†(ecco la citazione indiretta…) osserva tra l’altro che “(…) la diffusione di notizie false non è un fenomeno contemporaneo, ma antico, anzi, molto antico e risale ai tempi di Adamo ed Eva e della loro cacciata dal paradiso terrestre. Alle origini di ogni mito ci sono fake news. (…) Non vi è alcun dubbio che la divulgazione di false notizie può produrre, come spesso è avvenuto, mutamenti rilevanti sul corso della storia e sul destino di milioni di esseri umani. Si pensi alla fake news sulle armi batteriologiche di Saddam Hussein, che ha autorizzato l’intervento armato degli Stati Uniti e l’abbattimento di un regime, che ha aperto la strada a nuovi dolorosi conflitti in quell’area geografica. (…)â€.
Non scopriamo certo oggi, dunque, quanto e quale “peso†abbia la distorsione deliberata della verità , la disinformazione (non di rado sistematica e orchestrata da vere e proprie centrali anche transnazionali), il depistaggio. Allo stesso modo non è certo novità di questi ultimi mesi scoprire quale rapidissima capacità di diffusione e “contagio†virale abbiamo le fake news che assumono anche l’aspetto del sospetto calunnioso, della delegittimazione.
E di notizie false ne sono circolate con grande insistenza anche in quegli anni cruciali a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta che hanno nella stagione delle stragi (Capaci prima e via D’Amelio dopo), in quei drammatici giorni che vanno dal 23 maggio al 19 luglio del 1992, una sorta di spartiacque. Quelli sono gli anni segnati anche dalla scia della vivacissima polemica sui “professionisti dell’antimafia†innescata da un articolo di Leonardo Sciascia del 1987, e sono soprattutto gli anni nei quali inizia a volteggiare il “corvo†che con i suoi scritti anonimi prova a gettare discredito e ad allungare ombre sul lavoro di Giovanni Falcone, di altri investigatori ed inquirenti impegnati nella trincea della lotta a cosa nostra. La prima apparizione del “corvo†risale al maggio del 1989, un mese prima del fallito attentato a Falcone nel villino dell’Addaura. La macchina del fango era stata messa in movimento: le fake contenute nelle lettere del “corvo†di Palermo erano il primo passo in quel percorso di delegittimazione prima e di isolamento dopo di un uomo delle Istituzioni  che in quel momento era percepito, assieme a Paolo Borsellino, come il nemico numero uno della mafia. Un percorso  culminato con  la loro eliminazione fisica, a distanza di 57 giorni l’uno dall’altro, a pochi mesi di distanza da quando – il 30 gennaio 1992 -  la sentenza del primo storico maxiprocesso a cosa nostra, iniziato nel febbraio 1986, era diventata definitiva in Cassazione.
Un percorso nel quale il drammatico – e insostenibile – peso delle falsità , della calunnia è emerso in maniera chiara e incontrovertibile. Ed anche di questo, ventotto anni dopo, dobbiamo aver cura di fare memoria e non dimenticare.
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